(nine inch nails – the day the world went away)
Nuovo anno, nuova scaletta, vecchie storture.
Qualcuno sta pesantemente tracciando una rotta verso un futuro distopico che il presente non sa ancora del tutto intuire.
Lentamente il processo di assuefazione ai nuovi conflitti ne anestetizza la percezione, rendendola un rumore di fondo a cui abituarsi in previsione delle ferie imminenti, dei saldi estivi, dei disincentivi sul diesel, presi dall’esasperazione del voler comprendere tutto per poi poterlo sapientemente rivendere a dibattito esaurito.
Quel Qualcuno ha deciso che la miglior garanzia di pace ed equilibrio sia la guerra, forte di quella strana e consolidata abitudine che vede la forza (quella indiscriminata/cieca/rude) l’unico presupposto per la reciproca incolumità e l’ordine garantito.
Quel Qualcuno ha intuito che il progresso-a-tutti-i-costi è la sola via di benessere perseguibile nell’immediato dilazionando il prezzo da pagare oggi in scomode rate per i disperati di domani.
Quello stesso Qualcuno ha sapientemente dimostrato di avere la cura a mali che lui stesso ci venderà, lentamente, rispettando le regole di mercato.
Il mondo sa offrire problemi e nemici da combattere con regolarità, ma a quel Qualcuno urge costruire un nemico nuovo incessantemente, per sminuire e distrarci da tutti quelli precedenti.
E creato un avversario, con maestria si pesca nel passato per disimparare dagli errori pregressi e rafforzare la minaccia di saperne fare di peggiori.
Succede da sempre.
Col tempo quel Qualcuno ha imparato a dimostrarci che storia e verità non sempre possono camminare assieme: sacrificata la verità ci resta un ripetersi vorticoso di déjà-vu in cui l’unico appagante rimedio è l’altalenare tra l’ignorare o il giustificare tutto.
In quell’assecondarsi di eventi quel Qualcuno ha ereditato un presente confuso, e nel goderselo ha deciso di nutrirsi del futuro del bambino che verrà, certo di stare dalla parte giusta.
Niente vincitori o vinti, solo sopravvissuti. E Qualcuno pronto a difenderli a modo suo.
Nel nuovo manifesto i colori si fanno essenziali, primordiali, emergenziali.
Il bianco cedevole, purezza oramai fuori moda, fa spazio al nero dell’oblio, certezza di un avvenire non limpido, al giallo ed arancio dell’emergenza crescente, e al rosso delle ferite aperte, sfacciatamente predominanti.
E nel mezzo l’innocenza che gioca, sintesi di delicatezza e resistenza al femminile, che annulla distanze e differenze adeguandosi all’incoerenza umana in un verde che nonostante tutto sa ancora dar speranza.
Sia perdonata la visione forzatamente semplicistica, adatta a facili ed illusi sognatori.
Almeno per loro (e per noi) la musica ha ancora un senso.
Buon Festival.